Yacht design tecnico: la magia dei foil

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[vc_row][vc_column][vc_column_text]Prendiamo una barca a vela di 50 piedi, circa 15 metri, per capirsi. Fino a vent’anni fa le più veloci di questa classe, realizzate in vetroresina, con percentuale di zavorra del 33% (quanta parte del peso totale dell’imbarcazione contribuisce al raddrizzamento della barca) nelle migliori condizioni meteomarine potevano toccare i 10-12 nodi di velocità.

Poi arrivò la fibra di carbonio. Barche più leggere del 50% e con percentuali di zavorra del 60%. La velocità arrivò ai 16-18 nodi, con possibilità di lunghe surfate sulle onde con andatura al lasco.

NB: È importante poter raddrizzare una barca perché dopo un certo angolo di sbandamento le linee d’acqua si deformano tanto da renderla inguidabile (in gergo tecnico: straorzante) cioè la barca tende continuamente ad andare controvento (in modo rapido e incontrollato) causando pericolo per l’equipaggio e comunque fermandosi. Meno una barca sbanda (il massimo sono circa 20 gradi) e più è veloce.

Poi arrivò la deriva basculante. Certo, era una tecnologia da competizione, da regate intorno al mondo. Servivano pistoni idraulici, generatori per mettere in pressione l’impianto, ecc. ecc. Ma adesso la chiglia poteva sbandare sopravvento, in modo da avere maggiore richiamo (momento torcente) sullo sbandamento della barca e consentire di portare maggiore superficie velica, soprattutto in alto, in testa d’albero, dove c’è più vento. La velocità massima era arrivata ai 23-25 nodi. E nelle regate intorno al mondo questo dava un grande vantaggio: regolandosi bene con le previsioni meteo adesso era possibile prendere una perturbazione dalle parti di Capo di Buona Speranza, agganciarla e farci mezzo giro del mondo, laggiù ai 60 gradi di latitudine sud, dove non ci sono terre emerse a dare fastidio ai venti.

Poi arrivarono i foil. Quando si pensava di averle viste tutte e che una barca monoscafo più veloce di così non potesse andare, arrivarono le macchine volanti. Certo, dagli Anni 30 c’era il Flying Moth, una deriva di tre metri e mezzo che si alzava su timone e deriva a T; ma quelli della classe Coppa America adesso si erano inventati mostri volanti da 70 piedi (21 metri) a due o tre scafi che si alzavano su delle derive curve. Lame di carbonio disegnate al computer che sollevavano gli scafi di quasi due metri sull’acqua, diminuendo drasticamente la resistenza idrodinamica e aumentando a dismisura la velocità. Ma quelli erano catamarani di Coppa America, astronavi nate per le acque protette, sui monoscafi oceanici non si poteva fare, vero? Vero?

Qualcuno a quel punto si deve essere ricordato dell’ingegner Gustav Eiffel, che non costruì la famosa per fare una cosa strana o per solleticare lo sciovinismo dei francesi (non c’è bisogno infatti). La torre alta 324 metri, terminata di costruire nel 1889, serviva al buon Eiffel per condurre una serie di esperimenti che gettarono le basi per una scienza completamente nuova, l’aerodinamica. La procedura sperimentale era semplice: Eiffel saliva in cima alla torre portando con sé diversi tipi di lastre metalliche, poi una volta arrivato si affacciava dalla balaustra e le buttava una per una di sotto. Al livello della strada un assistente si occupava di prendere nota del tempo di volo di ciascuna piastra. In questo modo Eiffel voleva capire quanto la forma influenzasse la velocità di caduta.

Qualcuno, quindi, a un certo punto, ricordandosi degli esperimenti di Eiffel deve aver pensato: non è che tante volte possiamo limitare lo sbandamento delle barche monoscafo utilizzando questi benedetti foil? Cioè, se noi mettiamo una superficie portante sul lato superiore del foil messo sottovento (quello che si immerge quando la barca sbanda) magari questo potrà generare una forza sufficiente a raddrizzare la barca di qualche grado. E la cosa ha funzionato. Parecchio.

Le Maitre Coq

Oggi i monoscafo di ultima generazione che stanno per partire per l’edizione 2016 della Vendee Globe, regata intorno al mondo in solitario senza scalo ed assistenza, hanno tutti la chiglia basculante e i foil, e possono navigare costantemente intorno ai 30 nodi. Nelle foto delle prove in mare si vede bene quella specie di pinnetta di squalo che affianca la barca da sottovento, a volte colorata in modo sgargiante.

Quindi tra poco (fine novembre) potremo seguire le gesta di questa pattuglia di uomini che da soli, navigando per tre oceani, cercheranno di compiere il giro del mondo nel minor tempo possibile. Cavalcando per circa 25mila miglia, su missili di carbonio che volano tra le onde spinti solo dal vento, a una velocità degna di un motoscafo ultrasportivo. Certo, bisogna avere nervi saldi, cuore robusto e un cervello capace di mettersi in stand-by.

Fonti: Wikipedia.org[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][mk_button dimension=”outline” corner_style=”full_rounded” size=”medium” icon=”mk-icon-home” url=”/” align=”center” margin_top=”30″ margin_bottom=”0″ margin_right=”0″]Torna alla Home[/mk_button][/vc_column][/vc_row]

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