Videomapping e Design esperienziale: quando il progetto diventa emozione

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Dai “Racconti di luce” di Villa Borghese alla progettazione immersiva: dove luce, spazio e narrazione si fondono 

Immagina di entrare in una piazza. È buio. La facciata di un antico palazzo è immobile, silenziosa, ma in pochi istanti si trasforma in una tela viva: luci che scorrono, architetture che si animano, storie che si srotolano come pellicole. Questo non è un sogno futuristico, ma videomapping o project mapping, tendenza tra le più spettacolari nell’arte del progettare l’esperienza. 

“Racconti di luce”, in scena dall’11 luglio all’11 ottobre a Roma, alla Galleria Borghese, ne è uno degli ultimi esempi. Un racconto di luci, accompagnato da una colonna sonora originale, ripercorrerà la storia museale, in un disvelarsi visivo proiettato sul retro della villa, visibile dai giardini. 

In realtà è una tecnica molto richiesta ed usata, sin dai primi 2000, per colpire l’attenzione del pubblico, ad esempio a fini marketing. Tra il 2015 e il 2016, ad esempio, la capitale ospitò un intero festival dedicato al videomapping, il Romap Festival. Di esempi memorabili dal mondo se ne contano centinaia: la stella NBA Carmelo Anthony che corre e segna sul Hudson River, l’Origine du Monde di Chevalier proiettato nel sagrato del Sacré Cœur di Casablanca, la permanente Borderless World al Mori Digital Museum di Tokyo, il Festival of Lights di Berlino. 

Le prime proiezioni

Qualcuno ne fa risalire le origini concettuali addirittura alle ombre cinesi della dinastia Han, ma quanto a tecnologia parliamo di una tecnica che ha mosso i suoi primi passi negli anni ‘60 e ‘70, con un primo celebre impiego commerciale nella Casa Stregata di Disneyland, la primissima del 1969 nel parco californiano. Questo primo dell’avvento della tecnologia digitale, che ne ha sancito il boom definitivo dopo gli anni ‘90. 

Tutto questo si inserisce nel più ampio contesto del design esperienziale, frutto di un cambio di prospettiva: progettare non per un oggetto, ma per un’emozione. In questo scenario, il videomapping diventa uno strumento potentissimo. Non si tratta solo di una tecnica di proiezione su superfici irregolari, ma di un vero e proprio linguaggio narrativo, capace di trasformare lo spazio in racconto. Il muro non è più un limite, ma un canale. La luce non è solo estetica, ma memoria, suggestione.

Che si tratti di un evento, di un’installazione museale o di un’esperienza commerciale, il design esperienziale e il videomapping collaborano per creare ambienti immersivi, multisensoriali, profondamente memorabili.

Dove finisce il progetto e inizia la magia?

La linea è sottile, ma precisa, finisce dove lo spettatore smette di guardare e comincia a sentire. È lì che il design esperienziale fa il suo ingresso. Integrare discipline – grafica, scenografia, tecnologia, storytelling – significa mettere il pubblico al centro, progettando non per lui, ma attorno a lui. Il design diventa regia, il designer un direttore d’orchestra invisibile che lavora tra emozioni, colori e ritmo.

Il videomapping, in questo senso, è solo una delle possibilità. È il punto in cui il visivo incontra il tempo, il suono e la tridimensionalità. È un mezzo per sospendere l’incredulità come al cinema, ma dal vivo.

Per chi oggi si forma nel mondo del design, queste nuove forme di espressione non sono un extra, sono necessità della pratica quotidiana. Perché il progetto contemporaneo cerca connessioni, costruisce esperienze, risveglia la meraviglia. In altre parole, oggi il design non è solo ciò che vedi, bensì ciò che ti resta addosso anche dopo che le luci si sono spente.

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