La vendita dell’usato di lusso è il futuro.
ELLE
Inizialmente, i brand erano restii ad abbracciare il fenomeno, anzi non lo vedevano proprio di buon occhio per paura che la vendita second hand costituisse una forma di concorrenza dannosa, non solo perché rischiava di minare i profitti, ma anche perché temuta di incoraggiare la contraffazione nonché di comportare una svalutazione del marchio in termini di prestigio, percezione e status. Insomma, fino a qualche anno fa, per le maison la rivendita era un nemico da cui guardarsi. E soprattutto dopo il lockdown che hanno contribuito all’incremento delle opere di decluttering, negli ultimi anni l’ascesa del resale si è dimostrata stata esponenziale e inarrestabile.
Se si pensa che Vestiaire Collective ha avuto origine solo nel 2009 e oggi vale circa 40 miliardi – che si stima raddoppino entro il 2025 – possiamo iniziare a farci un’idea del potenziale dei canali di rivendita, che secondo analisi accurate oggi registrano una crescita quattro volte più rapida rispetto al mercato primario. Anche i grandi centri commerciali di lusso, come Selfridges nel Regno Unito e La Rinascente in Italia, hanno iniziato ad adibire degli spazi per la rivendita del designer vintage.
È solo naturale quindi che le maison abbiano deciso di saltare sul treno in corsa piuttosto che restarne schiacciate: anziché perdere una fetta di clienti o potenziali tali davanti a store multibrand e piattaforme di rivendita online, meglio cercare di riassumere il controllo e generare profitto da un fenomeno comunque inevitabile.