La vida es sueño: intervista a Jennifer Andreu, la designer dietro Mascienda Guadalupe, la prima masseria messicana d’Italia

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Mascienda Guadalupe è un sogno sospeso. Varcato il cancello, una lunga strada bianca porta alla casa padronale circondata da campagna e silenzio. Il vento sembra brisa de mar e una muchacha fa avanti e indietro dalla piscina a sfioro nel cortile. Potrebbe sembrare una lussuosa oasi nell’Hidalgo o qualche angolo sperduto dello Yucatan, con un turista diretto alla Riviera Maya che ha parcheggiato fuori la jeep con la tavola da surf. Tuttavia non ci sono piantagioni di caffè o cacao, potrebbe quasi confondere l’assenza di agave – neanche questa c’è, non ancora. Tutto intorno è pieno di ulivi e i caratteristici muretti a secco, patrimonio UNESCO. Appena oltre le chiome degli alberi, sulla collina che guarda il mare, la città bianca di Puglia, Ostuni

Esterno della Mascienda Guadalupe. Courtesy of Daniele Brescia Photography.

È un sogno che prende vita quello di Jennifer Andreu, imprenditrice e interior designer messicana. Un sogno che unisce due mondi. Un angolo di Messico nel cuore del Sud Italia, dedicato alla Virgen Morenita come suggerisce il nome: da un lato l’hacienda, dall’altro i trulli. Abbiamo raggiunto Jennifer per farci raccontare come lei, il fratello José Ramón Andreu e Panos Zacharopoulos siano riusciti a portare a termine questa incredibile impresa. Abbiamo chiacchierato circondati da fotografie d’autore e tavoli in bronzo, tappeti e tessuti provenienti direttamente da oltre oceano. Puglia e Messico che si alternano in un’armonia leggera e curata.

Jennifer, intanto una domanda spartiacque per rompere il ghiaccio. Tequila o Mezcal?

Mezcal, sempre. Potete anche provarlo qui da noi, originale importato da Oaxaca. È una delle offerte del nostro ristorante messicano, al momento riservato solo ai nostri ospiti. Però in questo periodo stiamo offrendo la possibilità di pernottare da noi una sola notte, così da provare una delle nostre cene.

Mascienda Guadalupe, inaugurazione. Courtesy of Daniele Brescia Photography
Da Oaxaca la strada è lunga. Una distanza enorme, come quella che hai percorso anche tu. Più di 10.000km in linea d’aria separano Città del Messico, tua città natale, dalla tua città d’adozione, Ostuni. Come ci sei arrivata? 

Il mio primo contatto con l’Italia è dovuto allo studio. Tanti anni fa avevo studiato moda a Parigi, ma avevo conservato il sogno di studiare qui da voi. In Messico mi ero realizzata e avevo costruito tanto professionalmente: le ville presidenziali, il St. Regis Hotel, un edificio residenziale a Polanco, avevo la mia galleria d’arte. Però non ero più soddisfatta, avevo smarrito la direzione. Ormai ero una professionista di successo, lo studio era lontano anni. Però non è mai troppo tardi nella vita. Così ho lasciato tutto, compreso il mio fidanzato del tempo, un italiano che si era trasferito in Messico per me. Sentivo che c’era qualcosa di più. Così mi sono trasferita a Brera per frequentare un master a Milano. 

E poi cos’è successo?

Poi è arrivato il Covid. Hanno chiuso tutto e io sono rientrata in Messico. Per fortuna, perché in quel periodo mio padre era malato di cancro ed eravamo tutti a casa di mio fratello, ad accudirlo. Tre mesi passati tra il suo capezzale e il seguire le lezioni a distanza: con il fuso orario facevo lezione alle 4 del mattino. Alla fine mio padre ci ha lasciato. Ero distrutta. I miei amici mi hanno detto di non tornare più nel mio appartamento e di partire per la Puglia. Sono venuta qui per restarci due settimane e sono rimasta due mesi. 

Interno di una delle suite della Mascienda Guadalupe. Courtesy of Daniele Brescia Photography.
Com’è stato il primo impatto con il Sud Italia?

Dico sempre che perdendomi in Puglia, mi sono ritrovata. C’era un agente immobiliare che mi corteggiava affinché comprassi qualche proprietà, un trullo o una delle vostre masserie. Però non ne volevo sapere, volevo andare al mare. Alla fine mi sono arresa e gli ho detto di portarmi a vedere la più bella, giusto per curiosità architettonica e non perché avessi altro in mente. Mi ha portato a vedere questa ed è stato come entrare in una visione.

La vedevo già completa, sapevo dove avrei fatto le suite, il ristorante, tutto. Era come se mi parlasse: mi diceva fammi tornare bella come un tempo, solo tu lo puoi fare. Mi sono sentita come se avessi abitato ad Ostuni in un’altra vita. E dopo ho capito che c’erano molte coincidenze. Qui passa la Via Traiana, che poi si interseca con la Via Francigena diretta in Terra Santa. Io ho fatto il cammino tre volte. 

Interno di una delle suite della Mascienda Guadalupe. Courtesy of Daniele Brescia Photography.
Sei molto religiosa, infatti. La Mascienda del resto è un tributo alla Madonna di Guadalupe. 

Si, infatti. Dopo ho fatto dei sogni in cui la Vergine mi diceva dove costruire la Cappella e di fare un cammino di agavi dirette verso il sole. Ne ho parlato ad un mio amico prete, guadalupano anche lui, che mi ha aiutato a comprendere meglio il significato dei miei sogni e mi ha suggerito di considerare la Vergine una mia socia in questa missione. Dovevo rivolgermi a lei nei momenti di difficoltà. 

E le difficoltà sono arrivate, immagino. Conosco il mondo del lavoro nostrano e le logiche delle maestranze locali, posso supporre che non sia stato facile. 

No. Mi sono trovata in difficoltà, sia economica che fisica. Non ultima l’inaugurazione, che ho insistito affinché avesse luogo quest’anno. Solo che più si avvicinava il giorno prefissato e più mi rendevo conto che non ce l’avremmo fatta, i lavori non sarebbero terminati in tempo. Troppo tardi però: avevo già mandato gli inviti, sarebbe venuto il console, la mia famiglia era in arrivo dal Messico, non si poteva rimandare. Ci ho creduto tantissimo e alla fine la festa è andata bene lo stesso. Non era tutto perfetto, ma la vita non lo è mai. Abbiamo festeggiato nell’area più rifinita, la musica è stata ottima e il cibo fantastico. Ne sono stati tutti entusiasti.

Piscina della Mascienda Guadalupe. Courtesy of Daniele Brescia Photography.
La forza della convinzione che rende tutto possibile. Del resto la tua passione per l’interior e il design in generale arriva da lontano. 

Si. Da piccola giocavo a costruire case. Sono sempre stata quella che organizzava gli spazi, che appendeva un quadro. Mi affascina l’estetica visuale. Essere in un bel posto per me significa trovarmi in un posto semplice, elegante, confortevole, da cui non vuoi andare via. Offrire uno spazio che sia bello e nello stesso tempo accogliente come casa tua, questa per me è la sfida dell’interior. Molto spesso gli hotel sono stranianti: troppo ordinati, troppo puliti, troppo staff che ti controlla. Non ti rilassi. Qui tu arrivi e sei come a casa, non abbiamo molte regole. Puoi farti un caffè da solo, la piscina è sempre aperta, l’orario del check-out lo decidi tu. 

Quindi diresti che è questo il vero segreto del tuo stile? L’assenza di regole?

Non solo. È tutta l’estetica, come insieme di cose, un equilibrio di tutto. Io ho studiato molto, ad esempio il Feng Shui. C’è sempre un equilibrio, anche nell’uso dei materiali. Devi sempre avere gli elementi della Terra: il metallo, il legno, la luce, il fuoco, l’acqua, il vento. Questo ti fa sentire in un paradiso. Ogni elemento contribuisce, anche la temperatura o l’odore. Ad esempio, la cucina è aperta. Così puoi sentire il profumo del caffè, della salsa. È sensoriale e non solo visuale. 

Dettaglio d’interni, Mascienda Guadalupe. Courtesy of Daniele Brescia Photography.
Nel 2018, Città del Messico è stata capitale mondiale del design. Attrae galleristi e artisti da ogni parte del mondo. Com’è quindi oggi la situazione del design in Messico? Un giovane può studiare lì e avere successo o deve necessariamente andare all’estero?

Dici bene. Se non ricordo male parliamo della terza città al mondo con più gallerie e musei. Tra fiere nazionali ed estere offre molto, sia nell’arte che nel design. Oggi il design è anche un percorso universitario specifico, prima c’era solo architettura. Questo è bellissimo, perché molti giovani sanno già di volersi specializzare in quello. E Città del Messico offre molta energia, ispira molto la creatività con il suo mix di colori, situazioni. Chi studia design dovrebbe non solo andarci, ma anche rimanerci per assorbirne la mentalità americana.

Io ho avuto la fortuna di poter studiare in Europa e riconosco che è bellissima, ma la mentalità è molto diversa. Qui è tutto complicato, quando ho provato a realizzare un B&B di lusso in un attico di Milano, sembrava che tutti volessero scoraggiarmi dal realizzare i miei sogni: questo non si può fare, questo è troppo difficile. Io ho già realizzato tanto e sono perseverante, ma immagina i giovani che si sentono dire sempre no. Alla fine si convertono in questi professionisti limitati. L’architettura in Messico è bella per questo, hanno realizzato delle cose pazzesche. L’America è il luogo del si, l’Italia del no. 

In un’intervista però hai detto che Messico e Puglia hanno qualcosa in comune tra loro. Proprio su questo parallelismo per altro si fonda l’identità della Mascienda, una fusione tra Masseria e Hacienda. E forse proprio per questa vicinanza insospettabile, questa contaminazione è riuscita così bene. A che ti riferivi? 

Si, il nome è stata una bella idea di Panos. Quanto alle cose in comune, sicuramente il clima. Io paragono tanto il Sud del Messico con il Sud Italia, da questo punto di vista. Per questo anche l’architettura rurale si somiglia: le haciendas messicane sono molto simili alle vostre masserie. Hai spazi lunghi, rettangolari, bianchi, con tanti alberi attorno e vicino al mare. I trulli ricordano le nostre casitas mayas. Poi anche il design: pulito, lineare, semplice, con tanti elementi della terra, come le fibre tessili e le pietre leccesi. La tradizione artigiana, come quella delle ceramiche di Grottaglie. Infine la gente col cuore aperto e il cibo ottimo, fresco e tendenzialmente a produzione locale. 

Cortiletto privato di una delle suite della Mascienda Guadalupe. Courtesy of Daniele Brescia Photography.
Qual è stata alla fine la sfida più difficile da superare nel realizzare Mascienda Guadalupe? La burocrazia italiana, interfacciarsi con la mentalità del personale locale o altro?

Tutto. La cosa più difficile di tutte credo sia stata non rinunciare al progetto esattamente come l’avevo immaginato. Volevo ad esempio che ogni stanza avesse un punto d’acqua, giardino e terrazza privata. Volevo il ristorante e il bar messicano. Alla fine ho realizzato tutto perché non mi sono arresa. E non è stato facile. Mi è costato una relazione amorosa, non ho visto la mia famiglia per tanto tempo, perché per quattro anni sono stata qui in cantiere. Sono passata dalla vita di città ad essere sola in campagna, con la mia cagnolina Maya. Ho speso molti soldi.

Però alla fine quello che conta è il sogno. Non dobbiamo perderlo di vista, anche se il sogno è solitudine. Nessuno può vederlo finché non lo realizzi, ti diranno solo che sbagli. Eppure noi abbiamo il potere di creare, basta crederci. Realizzare la Mascienda è stato un viaggio, anche dentro me stessa. Non mi pento di un solo giorno, tutto è arrivato al momento giusto e quando potevo apprezzarlo di più.

Panos Zacharopoulos. Courtesy of Daniele Brescia Photography.
Una viaggio incredibile, direi. Per concludere chiederei al tuo complice e compagno di avventura, Panos, se c’è qualcosa di non detto. Che piani avete per il futuro della Mascienda?

Per quest’estate penso che dovremmo goderci quello che abbiamo realizzato. Abbiamo fatto tanto e ora dobbiamo prenderci del tempo per fare le cose con calma. Eventi intimi con amici e gente che sappia apprezzare un triangolo di buon cibo, musica elegante e bell’ambiente. Certo miglioreremo qualche servizio, ad esempio pensavamo ad un’area fitness. Per il resto rimanderemo tutto a dopo. A settembre organizzeremo qualcosa in occasione della festa d’indipendenza messicana, quella in cui si commemora il Grito de Dolores – ma l’anno prossimo ci sarà un evento più legato alla storia di questo luogo, il centenario della masseria. Ci saranno molte sorprese. 

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